venerdì 28 novembre 2008

L'educazione come consegnarsi

E' importante, quando si agisce come educatori, partire dalla propria esperienza personale e non mettersi nella posizione di chi insegna oppure chiede qualcosa o interroga i giovani. Questo penso sia un buon atteggiamento per un educatore che voglia operare con i giovani in modo competente.

Infatti, uno dei rischi come l'educatore è quello d'immedesimarsi talmente in questo ruolo da mettersi su un piano diverso con l'educando: io sono qui, io sono l'educatore, e tu sei là, sei da educare. C'è il rischio di mettersi su due piani diversi, dove l'educatore, logicamente, sta su quello superiore rispetto a quello dell'educando.

Ma facendo così l'educatore si stacca dall'educando, non si crea un'empatia tra i due, e quindi anche tutte le parole che l'educatore dice sembrano come calate dall'alto, e non come quelle di un amico o fratello maggiore che vuole camminare con te.

Scrivo questo perchè tante volte capita a me di cadere in questo errore.

Se i ragazzi o giovani che ho davanti a me non mi conoscono, come possono aver fiducia in me? Sei io non mi apro a loro, perchè devono farlo loro? Non si dà fiducia ad un estraneo. E per non essere estranei bisogna raccontare se stessi, dire a chi si ha davanti la propria vita, svelare le proprie esperienze: allora anche l'altro si aprirà.

L'educazione è come un consegnarsi : perchè l'educando si consegni all'educatore, c'è bisogno che l'educatore, prima, si consegni all'educando.

Facile da dire questo, ma più difficile da mettere in pratica. Già! Però il fatto di accorgersi o capirlo penso possa essere il primo passo per metterlo in pratica.

lunedì 24 novembre 2008

Eluana Engaro

In questi giorni abbiamo assististo ad un ampio talk show mediatico sul caso Eluana Engaro.
Abbiamo così sentito da una parte la voce di chi sosteneva le proprie ragioni per togliere l'alimentazione ad Eluana, e dall'altra parte le risposta delle persone contrarie; ognuno portava le ragioni delle proprie affermazioni.
Così in questo dibattito allargato da una parte c'era Beppino Englaro, il padre di Eluana, Mina Welly, la vedova di Piergiorgio, e i politici favorevoli a togliere l'alimentazione, e dall'altra la voce della Chiesa con uno dei suoi rappresentanti più significativi Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita, e dei vari politici favorevoli alla posizione della Chiesa, pronti a difendere i loro principi.
Io non voglio entrare in merito se sia giusto o no togliere l'alimentazione ad Eluana, anche perchè dall'esterno rischierei di partire da qualche mio principio personale (tipo il rispetto della vita) ed applicarlo sic et simpliciter, senza calarlo nel vissuto reale. Io non ho vissuto la situazione del padre di Eluana, o della moglie di Wendy (per citare un caso simile), ma penso che quello che hanno vissuto o stanno vivendo nel vedere la sofferenza di una loro persona cara sia molto doloroso. Solo trovandosi a vivere la stessa situazione si riesce a cogliere quello che provano. Certo, bisogna dire che ci sono anche le testimonianze di persone che accudiscono e accompagnano con tanto amore persone care che si trovano nella stessa situazione.
L'unica cosa che volevo, però, sottolineare è che nel dibattito di questi giorni ho avuto la sensazione che molti siano intervenuti solo per difendere i loro principi e valori.
Il Budda insegna che la verità stà nel mezzo e lo stesso Gesù dice: "Non c'è peggior sordo di chi non voglia sentire". Allora dico: impariamo ad ascoltare, a metterci nei panni dell'altro; partiamo dal presupposto che forse non sempre ho ragione io, e quando parliamo facciamolo non per difendere la nostra ideologia, altrimenti cadiamo in un sistema che ha portato alle tirannie.
Cerchiamo di capire! Questo non significa che devo cambiar opinione, ma cercar la verità, sapendo che quello che oggi può sembrare vero, domani forse può sembrarlo un pò meno.
Ho voluto fare questo post perchè penso che come educatore abbia il dovere di interrogarmi sui fatti significativi riguardanti la vita che succedono nel mondo, proprio per non cadere nell'errore detto sopra: partire dai miei principi e applicarli indifferentemente e automaticamente alle vicende quotidiane della vita.

martedì 18 novembre 2008

"Vincere"



Che cosa significa "vincere" nell'educazione: tagliare il traguardo per primo e quindi da solo o arrivare con l'altro o gli altri?
Propongo un avvenimento accaduto alle paraolimpiadi di Seattle per riflettere su come nell'educazione "vinciamo" quando tralasciamo la nostra vittoria-prestigio personale per rallentare e cambiare la nostra corsa, per camminare, aspettare, seguire l'altro.

"Alle paraolimpiadi di Seattle, nove atleti, tutti mentalmente o fisicamente disabili, erano pronti sulla linea di partenza dei 100 metri piani.
Allo sparo della pistola iniziarono la gara, non tutti correndo, ma con la voglia di arrivare e vincere.
Durante la gara, uno di loro, un ragazzino, cadde sull'asfalto, fece un paio di capriole e cominciò a piangere.
Gli altri otto sentirono il ragazzino piangere: rallentarono e guardarono indietro. Si fermarono e uno di loro, una ragazza con la sindrome di Down, si sedette accanto a lui, cominciò a baciarlo e a dire:
- Adesso stai meglio?
Allora tutti e nove si abbracciarono e camminarono verso la linea del traguardo.
Tutti nello stadio si alzarono, e gli applausi andarono avanti per parecchi minuti.
Persone che erano presenti raccontano ancora la storia. Perchè? Perchè dentro di noi sappiamo che la cosa importante nella vita va oltre la propria vittoria, anche se questo comporta rallentare e cambiare la nostra corsa" (da internet).


martedì 11 novembre 2008

Ti dò DIECI per aver UNO

... per continuare il post precedente.

Chi di noi presterebbe 1o euro ad un amico per avere poi indietro 1 solo euro? Nessuno.

Minimo pretenderemo in cambio quello che abbiamo dato.

La stessa logica non avviene in campo educativo, dove tu rischi e metti in gioco 10 per avere, forse, in cambio 1. Non è che gli educatori siano incapaci di fare i conti o siano scarsi in aritmetica, ma, come ho già detto nel post precedente, fondano il loro dare sul rischio: ti dò 10 sperando che forse ritorni 1.

Questa logica ci fa capire velocemente che l'educazione si fonda su un dare di più, che ha, come attributo fondamentale, la gratuità, o, se vogliamo, l'arrichimento dell'altro.

Certo non è facile accettare questo. Abituati come siamo ad aver qualche tornaconto personale, o comunque a guadagnarci qualcosa, ci sembra assurda la logica: ti dò 10 per avere, forse, in cambio 1.

Vorrei però subito aprire il campo di approffondimento dicendo che questo uno di risposta è UNICO.

Qualche giorno fà ho fatto lezione nella mia classe. Io insegno in una scuola primaria di primo grado. Durante la lezione, un alunno è stato particolarmente vivace, tanto che alla fine della lezione non vedevo l'ora di andare via da quanto ero stanco e infastidito da quell'alunno.

Stavo per uscire dalla classe, ma poi, dentro di me ho sentito una voce che mi ha detto di fermarmi e di spendere un pò del mio tempo per dialogare un pò con quel bambino, e così ho fatto. Non so esattamente perchè l'ho fatto; forse per gesto d'altruismo che mi ha portato a dire: lì davanti a me c'era una persona che forse aveva bisogno...

Vi assicuro che più passavano i minuti e più riscoprivo davanti a me una persona la quale, anche se mi aveva "stressato" per tutta la lezione, era una persona unica. Quel bambino mi ha dato indietro un unico che altri non avrebbero potuto darmi.

Questo sono fortune. A volte, purtroppo, almeno per me, non è facile accorgermi di questo 1 che torna indietro; ma quando lo scopro questo vale non come 10 ma come 100. E' come un grazie o un bacio che il bambino dà alla sua mamma, dopo che questa ha speso tantissimo tempo e amore per il bambino... un 1 che è unico!

E se non torna indietro a me, sono certo che un'altra persona riceverà quel 1 che prima o poi ritorna.

Per questo sono persuaso che vale proprio la pena di mettere in gioco tutto noi stessi, di darci completamente nell'opera educativa per creare una risposta che quantitativamente ha il valore di uno ma qualitativamante è UNICO.

Il rischio

Mi ha colpito questa mattina una sottolineatura della mia insegnante di pedagogia generale che ha marcato come una delle competenze traversali dell'educatore è saper accettare il rischio.

Una frase, forse, data per scontata tante volte quando abbiamo a che fare con un'altra persona, in quanto caratterizzata dalla libertà personale.

Ma questa volta, la parola rischio non mi è scivolata via come qualcosa di ovvio, ma si è fermata come un segnale chiaro e luminoso dentro la mia mente, come un'indicazione ben precisa da seguire.... un buon educatore ha a che fare col rischio... può spendere energie, tempo, passione, progetti, attività, col rischio che l'altro ignori tutto questo e lo consideri inutile.

Se guardo la mia esperienza di educatore già altre volte ho fatto l'esperienza del rischio che si è tramutato poi anche in fallimento.

Ma ora, la scoperta che il rischio deve essere una competenza specifica dell'educatore, mi fà nascere una nuova speranza nel provare, tentare, rischiare, anche se forse non arriverà il successo.

Certo affermare l'importanaza del rischio in una società che pone l'efficientismo, la vittoria, il successo come valori supremi, può sembrare anacronistico o fuorviante. Ma forse la soluzione di questa dicotomia sta nel fatto che mentre la società insegna a porre se stessi e il proprio interesse prima di tutto, l'educatore sceglie l'altro come interesse della propria azione per un senso di amore altruistico.

L'educatore è colui che ha scoperto che c'è più gioia nel dare che nel ricevere. Basti pensare al gesto di tanti genitori che si danno per i figli, o l'amico che si dona all'altro amico, o alle persone che si sostengono e aiutano a vicenda, per capire anche noi la verità di questa frase.

E allora, ritornando all'argomento principale, vale proprio la pena di rischiare: come educatori amiamo il rischio da operare, stare, camminare, amare... l'altro.

martedì 4 novembre 2008

E' più facile ASCOLTARE o GIUDICARE?

Qualche giorno fà mi è capitato di vedere alla TV un servizio su un nuovo stile d'essere giovani, quello degli EMO.
Incuriosito dalla presentazione l'ho seguito attentamente sino alla fine.
Cercando di sintetizzare chi sono i ragazzi EMO, si tratta di un modo di apparire dai tratti particolarmente femminili: i ragazzi, infatti, sono truccati in viso, in particolare agl'occhi, come le ragazze, con una caratteristica frangia presente sia nei ragazzi che nelle ragazze.
A parte il look, è lo spirito che soggiace sotto che mi ha particolarmente colpito: il vivere e il far vedere uno stato di vita emozionalmente tendente alla tristezza; lo stesso trucco molto "pesante" sembra voler coprire la positività di una immagine personale di vita semplice, che esprima gioia, freschezza, spontaneità, allegria, per riflettere invece un'apparenza falsata, dai contorni tristi e connotata di tristezza, cupismo, e malinconia.
Sappiamo tutti che il look, il modo di vestirci e comportarci dice chi siamo. Ma allora, come educatore mi sono chiesto: i ragazzi EMO cosa mi stanno dicendo? Forse al giorno d'oggi abbiamo perso l'ebbrezza della semplicità, della normalità, quella capacità di sorprenderci anche per le piccole cose, a discapito invece di un mondo che ci propone prodotti artefatti, dove i rapporti umani sono veicolati o controllati da schemi predefiniti ( a questo proposito, i ragazzi EMO esprimono liberamente i loro sentimenti, tanto che gli stessi ragazzi maschi si baciano sulla bocca tranquillamente), dove il culto dell'immagine porta a volte il rischio di assumere maschere per apparire quello che non si è.
Io penso che un semplice gruppo, in questo caso i ragazzi EMO, ci stia dicendo tante cose, come nel passato facevano altri gruppi come i Dark, i Punk, i Metallari o altri.
Vorrei però aprire una discussione e chiederci: quanto centro anch'io nella costruzione di questo modo immaginario (cioè fatto di immagine)? Quale deve essere il mio atteggiamento come educatore?
Se fino a qualche tempo fà mi avrebbe lasciato perplesso e pensieroso vedere ragazzi così, oggi ho imparato, o meglio sto imparando, a non giudicare, ma ad ascoltare quello che l'altro vuole dirmi col suo atteggiamento. Questo forse è il passaggio più difficile, ma fondamentale come educatore... ma anche come amico o semplicemente compagno di cammino.
Pensate alle nostre famiglie, gruppi, classi di scuola o altro: quando vediamo dei ragazzi che si vestono o si comportano in modo "strano", siamo subito pronti a giudicare e cercar di far ritornare l'altro dentro gli schemi , o quanto invece ci chiediamo: cosa mi vuole dire con quel comportamento?
Lascio la discussione aperta. Se qualcuno vuole aggiungere la sua esperienza penso possa essere arricchiente per tutti. Sarebe interessante sentire la voce anche di qualche ragazzo.
PS: sebbene abbia cercato di documentarmi, può darsi che ci siano degli errori sulle informazione dei ragazzi EMO. Chiedo eventualmente scusa.