giovedì 22 gennaio 2009

L'interiorizzazione dei valori

In questi giorni ho continuato a riflettere sul post precedente, riguardo l'emergenza educativa, cercando di trovare qualche altra proposta concreta sull'argomento.
Io penso che non serve a nulla cercare le colpe e additare di volta in volta questo o quel soggetto.
La situazione di emergenza educativa dipende da numerosi fattori: genitori, educatori, mezzi di comunicazione, istituzioni, associazioni che hanno perso il loro senso di responsabilità di fronte ai ragazzi, ai giovani, o lo limitano solo ad alcuni ambiti specifici pensiamo alla scuola che si propone come fine l'istruzione).
Forse, a questo punto, bisognerebbe interrogarsi perchè questi soggetti non hanno più peso educativo? E allo stesso tempo chiedersi più seriamente quali tipi di modelli vengono proposti alle nuove generazioni?
Quali scale di valori, priorità e obiettivi un ragazzo riesce ad interiorizzare?
Questo processo lento non può essere rimandato, ma deve partire dal “basso” (in famiglia, nelle relazioni interpersonali, nelle scelte quotidiane di consumi, ecc.) e non attendere un intervento dall'alto, dall'istituzione.
Impariamo allora tutti, come educatori, ad avvicinarci agl'altri per conoscere il loro mondo e a portare un po' di quel buon lievito che abbiamo per far fermentare la pasta. A condizione sempre di aver o essere questo lievito.

martedì 20 gennaio 2009

L'emergenza educativa


Oggi da più parti si sente parlare della preoccupazione per la questione dell'emergenza educativa.
C'è chi ha parlato di “imbarbarimento” delle nuove generazioni: si viene al mondo senza sapere nulla della civiltà che ci accoglie, animati solo da voglie, necessità e impulsi da soddisfare. Ogni sistema sociale si “difende” da questa invasione civilizzando i barbari, trasmettendo loro i suoi principi e la sua cultura, educandoli ad inserirsi in un tessuto civile.
Ma da qualche decennio questo passaggio di testimone da una generazione alla successiva, questo trasferimento di civiltà, sembra essersi bloccato.
I giovani vengono allevati facendo credere loro che non esistono limiti da rispettare e autorità a cui obbedire né sacrifici da sopportare. Il criterio fondamentale della pedagogia sembra essere diventato: “Vietato vietare”!
Così facendo, però, la società smette di civilizzarsi i “barbari” che restano tali pur diventando adulti.
Occorre tornare ad educare, ridare significato a parole ormai dimenticate come autorità, disciplina, sacrificio.

sabato 17 gennaio 2009

Educhiamo ad accettare l'altro...

Vi scrivo queste poche righe. Sono di una mamma con un bambino cieco che ci fanno riflettere ancora una volta su uno dei cardini dell’educazione: accettare l’altro.

Racconto la mia storia perchè si possa capire come tutti siamo importanti nella vita degli altri: se Nicola ha sorriso è perchè era in mezzo ad altri bambini che bene o male lo stavano accettando. Nessuno deve fare chissà che cosa, ma, per esempio, educare i propri figli ad accettare l'altro questo lo può fare, accettare che sia nella stessa scuola, questo lo può fare; invitarlo a casa propria, questo lo può fare; avvicinarlo senza paura: tutti piccoli gesti che insieme costruiscono un discorso vero, concreto contro l'emarginazione; un discorso per la vita non solo ideologico, ma costruito nella quotidianità.

Fino a che siamo responsabili delle nostre azioni?

Fino a che punto un giovane che compie gesti sbagliati è responsabile delle sue azioni? Quanto è condizionato dagl'altri, da quelle che sente in famiglia, tra gli amici, in TV?
Sembra il gioco del nascondino dove bisogna trovare la risposta giusta.
Studiando il pensiero che si è svolto durante tante ricerche in psicologia sociale troviamo alcuni autori che sostengono che l'oggetto di studio della psicologia sociale stessa non può essere che quello degli individui in rapporto con altri individui.
In altre parole, se è vero che i fenomeni sociali nascono dai singoli soggetti, smettono di essere fenomeni soltanto individuali proprio per il fatto di riguardare persone che si riferiscono ad altre persone (Asch, 1952). La nostra comprensione dei fatti allora non è un fatto privato e individuale, ma acquista significato proprio perchè mediata dall'esistenza di altri attori sociali (Hutchins, 1995).
Fanno pensare queste affermazioni.
Ma a questo punto la mia responsabilità è molto limitata e il mio comportamento non libero.
Ma ascoltiamo anche altre correnti che considerano le persone come attori sociali responsabili: la cultura fa l'uomo, ma sono gli uomini, le donne, i bambini che fanno la cultura (Baumann, 1996). Separata dalle persone la cultura non esiste.
E' importante tenere presente questo perchè altrimenti cadiamo nell'idea che in date circostanze l'uomo non è responsabile di quello che fa, perchè “gli altri, la cultura glielo ha fatto fare”.

giovedì 15 gennaio 2009

Il vero educatore? Un «pigro», non un "protagonista"


Qualche giorno fa ho incontrato Kety (nome inventato), una ragazza splendida, intelligente e generosa. Abbiamo parlato della sua famiglia, di alcune cose che stava facendo, dei suoi studi; mi ha confidato che stava faticando a mettere insieme le mille cose che stava vivendo. Dopo pochi minuti si è messa a piangere; non l’avevo mai vista così. Abbiamo parlato e mi ha ringraziato a voce, con una "e-mail" e due o tre "sms". Ieri sul computer ho trovato una lunga lettera di Alice (nome inventato), una giovane del Canton Ticino. Ha trovato il mio indirizzo da qualche parte; non ci conosciamo. Mi ha scritto lungamente del suo fidanzato, dei suoi dubbi, di una sintonia "spirituale" fra loro due, di una generale non attrazione fisica, della paura di affrontare il matrimonio. Mi chiedeva un consiglio e le ho risposto come ho potuto.
Al di là del contenuto di questi due incontri, sia Kety che Alice mi sono sembrate sole nel loro cammino, senza un adulto che le "accompagnasse", che avesse tempo per loro, per ascoltarle, confortarle, dare loro speranza e "sdrammatizzare" le situazioni nell’amore di Dio.
Ho imparato a sciare da piccolo ed è una delle cose che so fare meglio. Nelle parrocchie in cui sono stato ogni tanto andavamo a sciare, dalla mattina alla sera o per più giorni. Ho insegnato a sciare a decine di persone, credo più di cento. Ogni tanto incontro giovani che mi ringraziano per la "pista baby" che ho fatto con loro, per il tempo che ho perso per loro, fra una caduta e l’altra. Mi diverto a donare ciò che so fare. Stare vicini è crescere insieme; certo ci vuole tempo, fatica. Tanta.
Quando un giovane vuole capire qualcosa di più di Dio e di se stesso, talvolta è faticoso rispondere alle sue domande e ascoltare le sue sofferenze, paure, incertezze. Per educare, è necessario regalare tempo alle persone; per "auto-educarsi" è necessario regalare tempo a noi stessi. La soddisfazione di vedere le persone crescere è più grande di ogni fatica. Un Sabato sera un gruppo di adolescenti mi chiese di andare a mangiare una pizza; mi venne in mente che, anziché comprarla, potevamo provare a farla. Mi ricordai di un piccolo rifugio in un bosco, in cui c’era un forno. Ci dividemmo i compiti: qualcuno portò il pomodoro, altri la mozzarella e la pasta; un ragazzo costruì la pala. Raccogliemmo la legna, accendemmo il fuoco e cucinammo le pizze… un po’ "bruciacchiate", ma ottime perché fatte da noi.
Concludemmo la serata con un "Padre Nostro", in un prato, al chiaro di luna, tenendoci per mano. Fu un Sabato sera indimenticabile, fatto da noi, anzi, da loro: io guardavo… Il vero educatore è pigro, non si sostituisce mai al protagonismo dei ragazzi, sta loro vicino, con amore; lascia che siano loro a prendere in mano un fiammifero, una pizza, la loro "vita spirituale", se stessi, la propria vocazione.

(Dalla testimonianza di un educatore)

domenica 11 gennaio 2009


Vorrei fermarsi come un bambino a guardare il mare.
Pensare che la mia vita è come quel mare che ho davanti:
io seduto sul molo del porto mentre guardo il mare.
Tante profondità, tante crespe, tante avventure.
Una miriade di colori che si uniscono uno all'altro col passare del tempo, dei giorni, delle stagioni.
A volte la vita scorre tranquilla e serena come un mare d'estate;
altre volte comincia ad agitarsi e incresparsi come fa il mare all'improvviso;
a volte si trova in mezzo ad una temporale che fa sbattere un'onda contro un'altra.
Fermiamoci e ammiriamo la nostra vita.

il SENSO DELLA VITA


Si corre, si fa... si va di qui e poi di là. Si compra questo, si usa e consuma quell'altro.
Si vincono premi, si corre a prenderli. Si cerca il modo per migliorarsi, per diventare più bravi e si fa di tutto per farlo vedere anche agl'altri (altrimenti che senso ha essere più bravi?).
Ammassiamo ore di lavoro, chilometri sulle gambe, forze moventi con le bracia.
Con la testa pensiamo cosa abbiamo concluso ieri, oggi... cosa faremo domani.
Col cuore amiamo una donna o un uomo, i propri genitori, i figli, gli amici-amiche che si hanno e poi altre persone sempre nuove.
Si accumulano soldi nei nostri conti bancari.
Si rinuncia a fermarsi col giallo perché altrimenti bisogna aspettare col rosso.
Ci si arrabbia quando andiamo al centro commerciale e giriamo 2 volte tutto il parcheggio più vicino senza trovare un posto libero e ci si chiede perché tutta quella gente non stia a casa.
Si rinuncia ad uscire perché in TV c'è il nostro telefilm preferito o gioca la “nostra”squadra.
Quando si va in vacanza si percorrono chilometri e chilometri, e chi se ne importa se troveremo la coda la domenica sera dopo un giorno al mare (col solo fatto che cominceremo un'altra volta ad avercela con gli altri).
Si corre corre corre, si fa fa fa, si gira gira gira... ma perché?
Quale senso stiamo dando alla nostra vita?
Dove sto correndo, verso cosa sto correndo, perché sto correndo?
Ognuno risponda personalmente a queste domande.
Non è forse questo che stanno cercando i giovani e forse anche qualche adulto, cioè il SENSO DELLA VITA???
Allora non possiamo lasciar correre in modo indifferente anche questa giornata senza cercare di dare una risposta a questa domanda.